Alla scoperta del Marsala “pre-British” con Vino Sapiens | The Taste Seeker
Lavorando sui social, ho sviluppato una sorta di “ripudio” verso essi. Come chi lavora nel fast-food: non appena esce dalle loro cucine, il solo sentire l’odore di quel cibo provoca quasi un senso di nausea. Io, in maniera analoga, sopporto sempre meno la violenza verbale, l’aggressività e la cattiveria che vedo girovagare quotidianamente tra post, articoli e gruppi. Ma questa volta sono stati la chiave d’aggancio per scoprire un bellissimo evento.

Essendo infatti finito tra il pubblico di riferimento della sua pubblicità, Vino Sapiens (enoteca situata nel quartiere romano di Centocelle) mi ha fatto sapere che ad inizio maggio ci sarebbe stato un evento più unico che raro, ovvero una degustazione al cinema! No, non ho scritto male, ma entriamo nel dettaglio. Chi sono stati i protagonisti di questa bellissima serata? Molti ed un po’ come per la sinossi di un film, è giusto presentare il cast:
- Costantina Vocino e Marco Felini, fondatori dell’enoteca Vino Sapiens (Via dei Platani 6),
- il Cinema Broadway (Via dei Narcisi 36),
- Andrea Mignolo, regista del documentario “Pre-British” focalizzato sulla testimonianza di 4 produttori di Marsala che quotidianamente si impegnano a preservare la tecnica di realizzazione del Marsala perpetuo, ovvero il vino originale che fece innamorare John Woodhouse (mercante di Liverpool che nel 1773 arrivò a Marsala e scoprì la perla enologica del luogo) prima che lo trasformasse nella versione odierna – ovvero in vino liquoroso,
- Sebio De Bartoli, Vincenzo Angileri, Pierpaolo Badalucco e Nino Barraco, rispettivamente produttori delle cantine “Marco De Bartoli“, “Viteadovest“, “Dos Tierras Badalucco” e “Cantine Barraco” (solo Vincenzo Angileri è riuscito a presenziare in loco ma la sua testimonianza è stata sufficiente a portare il calore di Marsala nella sala romana);
- Andrea Palumbo, chef del Fish Bar “Drink Ink“
Pertanto ecco come è andata la serata, ma nel frattempo presso questo link potete vedere il trailer del documentario.
Costantina ha fatto gli onori di casa presentando brevemente il suo progetto e la serata, spiegando che dapprima avremmo visionato il docu-film “Pre-British” e poi avremmo degustato, seduti nelle poltrone del “Broadway”, quattro etichette di due dei produttori presenti nel documentario, ovvero:
-
“Terzavia” di Marco De Bartoli, spumante Brut da uve Grillo al 100%;
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“N. 73” di Viteadovest, vino bianco ossidativo da uve Grillo e Catarratto (50% e 50%);
- “Kapo R” di Viteadovest, un blend di Nero d’Avola e Nerello Mascalese,
-
“Vecchio Samperi” di Marco De Bartoli, vino bianco ossidativo interamente da uve Grillo;
Per non far mancare nulla, oltre ad aver offerto dell’ottimo pop-corn da sgranocchiare prima o durante la proiezione, l’evento ha incluso un piatto squisito dello chef Palumbo, ovvero un crostone con burrata, acciuga e zucchine, accompagnato da hummus e olive nere (un hummus così buono non lo mangiavo da quando andai in vacanza in Giordania).
Passiamo ora al dettaglio delle 4 etichette degustate:
1° VINO | “TERZAVIA” di “MARCO DE BARTOLI”
Si parte con il botto. Non era la prima volta che bevevo questo prodotto, ma berlo nuovamente è stato altrettanto emozionante. Si tratta del “Terzavia”, spumante Brut Metodo Classico (Sicilia DOC) della cantina Marco De Bartoli (per la cronaca, la mia cantina preferita in assoluto, e ben prima di questo evento) prodotto con uve Grillo al 100%. Partiamo con il dire che, al naso, è come annusare una macedonia di frutta esotica arricchita da un bouquet floreale straordinario, da delle pungenti note agrumate e da un piacevolissimo richiamo di macchia mediterranea. In bocca invece presenta un’ottima acidità che sgrasserebbe pure un petto d’oca lardato e fritto; attenzione però perché lo spumante è caratterizzato anche da una sorprendente sapidità – caratteristica indelebile del territorio – ed in bocca provoca un’esplosione di gusti di frutta esotica.
Ecco invece la scheda tecnica presa direttamente dal sito: per la vinificazione del vino base, “le uve vengono raffreddate e sottoposte a una selezione dei grappoli. Segue una pressatura soffice diretta delle uve (intere) e, dopo la decantazione spontanea del mosto, si attende l’avvio della fermentazione in vasche di acciaio, per poi continuare in fusti di rovere francese (del 20% delle uve) a temperatura controllata in maniera indiretta, con climatizzazione dell’ambiente. La fermentazione è operata da lieviti indigeni e con un impiego minimo di solfiti”. Per quanto riguarda il tiraggio invece, viene aggiunto “mosto fresco, sempre ottenuto da uve Grillo dell’annata successiva, presenti nello stesso vigneto, e seguendo lo stesso metodo per la vinificazione del vino base. Il mosto fresco viene aggiunto al vino in quantità proporzionali tali da diluire il tenore in alcool e apportare la quantità di zucchero (naturale) necessaria alla presa di spuma. L’apporto di mosto non supera il 15%, per cui il vino rientra a pieno titolo nella categoria dei millesimati”. Infine il 50% del vino base affina 1 anno in acciaio, mentre il restante 50% affina in recipienti di rovere francese, sui propri lieviti.
2° VINO | “N° 73” di “VITEADOVEST”
Probabilmente è il vino più sorprendente del mio 2022 – fino a questo momento. Si tratta di un Marsala originale, un “Perpetuo“, ovvero un vino ossidativo che non prevede la fortificazione del vino tramite l’aggiunta di alcol, mistella, acquavite o simili. Composto in pari quantità di Grillo e Catarratto, questo “N° 73” (anno di nascita del produttore, Vincenzo Angileri) vede le sue uve raccolte esclusivamente a mano nell’ultima decade di Settembre. La vinificazione poi prevede la macerazione sulle bucce per 10-15 giorni e fermentazioni spontanee da lieviti indigeni, senza aggiungere anidride solforosa e/o altri additivi chimici. Il vino poi affina in legno in botti di varie dimensioni, con la base del vino che viene rinnovata di anno in anno con l’aggiunta di vino delle nuove annate – praticamente un “Metodo Solera“.
Quel che si ottiene è un vino caldo, sapido, fresco, caratterizzato da intensi sentori di frutta secca (mandorle a volontà ma anche fichi e mallo di noce), uva passa, cipria, note balsamiche, albicocca, frutta disidratata; fermandosi al naso, uno penserebbe che sia un vino dolce. Ovviamente poi arriva l’identità ossidativa del vino, con un mix tanto inebriante quanto azzeccato di acidità e sapidità. Un vino straordinario che grida a tutti i popoli il nome di Marsala con lo stile che fece letteralmente innamorare John Woodhouse e tutta la popolazione inglese.

3° VINO | “KAPO R” di “VITEADOVEST”
Un vino che spiazza. Questo vino (Terre Siciliane IGP) presenta una composizione divisa, rispettivamente, in Nero d’Avola (60%) e Nerello Mascalese (40%). È prodotto in maniera molto simile al “N°73”, con la differenza che le uve vengono raccolte nella seconda decade di Settembre e a cui viene applicata una soffice pressatura con il tradizionale torchio idraulico.
Come spiegato dallo stesso Vincenzo, il Nero d’Avola è un vitigno estremamente acido, pertanto la sua grande freschezza si presenta ovviamente anche in questo calice, in cui però si avvertono anche straordinarie note di prugne, frutti rossi sotto spirito, ciliegia e tanto altro ancora. Ho preferito il precedente a questo, ma è puramente gusto personale: sono entrambe due etichette che meritano di essere provate.
4° VINO | “VECCHIO SAMPERI” di MARCO DE BARTOLI
Il Re, the King. Anche qui, come per la “Terzavia”, non era la mia prima volta, ma ancora una volta è riuscito a sorprendermi come se non lo avessi mai assaggiato prima.
Il Vecchio Samperi è probabilmente il gioiello della corona di Marco De Bartoli e, considerando la vastità della sua gamma, è tutto dire… aggiungo questo: provo dispiacere per chi non lo ha mai provato.
Per realizzare questa gemma viene utilizzato un sistema di “travasi” di piccole parti di vino di produzione attuale in botti con vini già invecchiati, adottando pertanto l’antico metodo di affinamento del vino in botti di rovere, il perpetuum, e realizzato per la prima volta nel 1980. P.S.: un dettaglio che ho apprezzato moltissimo del documentario è stato il fatto che tutti e tre i produttori esterni alla cantina De Bartoli hanno accreditato e ringraziato il compianto Marco per aver rischiato ed aver preservato questo antico sistema di produzione.
Anche qui la selezione delle uve è manuale (ça va sans dire), con una soffice spremitura, sedimentazione naturale, fermentazione tradizionale in fusti di rovere e castagno a temperatura ambiente a opera di lieviti indigeni. L’affinamento avviene in fusti di rovere e castagno per almeno 15 anni in media, con l’aggiunta di una percentuale di vino più giovane ogni anno, utilizzando il tradizionale metodo in perpetuo (o Solera).
Descriverlo è riduttivo. Salsedine, frutta secca, miele, spezie a non finire, erbe essiccate e chi più ne ha più ne metta. In bocca, come per il “N° 73”, c’è questa asimmetria tra olfatto e gusto: non è affatto un vino da relegare alla fine del pasto. Come spiegato dallo stesso De Bartoli ad una mia amica che ha visitato l’azienda, questo vino merita un piatto a base di ricci di mare. Io personalmente sogno ogni notte di berlo accanto ad un piatto di spaghetti con la bottarga (di tonno, sia chiaro!). Divino, un vino divino.
Per non farci mancare nulla, un piatto realizzato dallo Chef Palumbo.
Che dire altro non saprei, credo di aver fatto intendere ai lettori che è stata una serata superba. Per cui, viva Marsala, il Marsala ma soprattutto il “Pre-British”!
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