I piatti più famosi a base di quinto quarto

Probabilmente ormai tutti conoscono le definizioni “quinto quarto” e “frattaglie“, ovvero gli “scarti” degli animali, i tagli meno nobili. E probabilmente tutti sanno che in tempi non recenti, per molte culture rappresentavano dei piatti che poi sono diventati dei cardini della cucina visto che ottenerli era semplice – il più delle volte, erano tagli che venivano scartati e buttati.

Oggi (anzi, da qualche anno) anche l’alta cucina sta facendo l’occhiolino al quinto quarto, cercando di rendere nobili parti di carne che il più delle volte vengono ignorate dai commensali.

Frittata con rigaglie di pollo @ SantoPalato (Roma)

In Italia c’è una tradizione di quinto quarto che va dal Nord al Sud, passando per ogni angolo della nazione. In questo articolo ho voluto mettere l’accento su 10 piatti tipici italiani a base di frattaglie.

10 RICETTE ITALIANE A BASE DI FRATTAGLIE

FINANZIERA (PIEMONTE)

Si deve il nome di questo raggruppamento di ingredienti all’abito (chiamato proprio finanziera) indossato nel 1800 dai banchieri e dagli uomini di alta finanza, ai quali sembra che questo piatto piacesse parecchio.

Dentro c’è di tutto: creste di gallo, animelle, fegatini di pollo, ma anche filone di vitello, fesa di vitello e filetto di manzo, senza dimenticarci dei funghi sott’olio e anche del Marsala, che viene adoperato insieme all’aceto e al burro. Insomma, un concentrato di sapore vero e proprio!

FEGATO ALLA VENEZIANA (VENEZIA)

Fegato di vitello e cipolla, spesso servito accompagnato dalla polenta bianca: è questa la magica combinazione tanto amata a Venezia e dintorni. Per la buona riuscita del piatto, è essenziale porre la massima attenzione ad entrambi gli ingredienti, quindi la cipolla deve stufare, senza mai imbrunire. Mentre il fegato va fatto rosolare poco, per evitare che diventi duro e poco gradevole.

Se la storia che circonda questo piatto è vera, la sua origine corrisponde al periodo dell’antica Roma, dato che la parola fegato deriva da ficatum, visto che i romani erano soliti cuocerlo con i fichi (sfruttando la loro dolcezza per coprire il sapore e l’odore). Solo in seguito, i fichi vennero rimpiazzati dalla cipolla.

PANINO CON IL LAMPREDOTTO (FIRENZE)

È molto probabile che in tempi non sospetti, fosse il Lampredotto il vero piatto del popolo fiorentino, dato che dubito che la bistecca alla fiorentina venisse regalata data la sua qualità e quantità. Per Lampredotto si intende il quarto ed ultimo stomaco del manzo, ovvero l’abomaso, il quale a sua volta è composto da una parte più grassa, detta “spannocchia”, e una più magra, chiamata “gala”.

Se andate da un autentico “Lampredottaio” fiorentino, egli lesserà la carne in un brodo e poi lo servirà in un panino, (le “stimme”, simili alle rosette) con salsa verde, sale e pepe.

CODA ALLA VACCINARA (ROMA)

Con Instagram e non solo, i turisti pensano che la cucina romana sia solo Cacio e Pepe, Carbonara e Amatriciana. In realtà la vera cucina romana si basa molto sul quinto quarto e, sebbene la trippa alla romana sia il piatto più rappresentativo ed antico, forse è la Coda alla Vaccinara ad essere il piatto più conosciuto tra le preparazioni romane a base di quinto quarto.

Ideata dal ristorante “Checchino dal 1887” a Testaccio verso la fine del XIX secolo, si tratta di cubotti (i “rocchi”) di coda di bue soffritti in olio EVO con il classico soffritto all’italiana, sfumata con vino bianco, sommerso di sugo di pomodoro e lasciato cuore per circa 5 ore – con alla fine, per i veri tradizionali, una spolverata di cacao fondente.

RIGATONI CON LA PAJATA (ROMA)

Quando Alberto Sordi spiega alla sua dolce compagnia cos’è la pajata, dice “è meglio che non te lo dica, mangia prima, è meglio”, per paura che la descrizione possa far desistere la donna dal mangiarla. Con Pajata si riferisce all’intestino tenue del vitellino da latte (che normalmente viene chiamata duodeno) che contiene il chimo, una sostanza molto gustosa.

Si tratta essenzialmente del latte presente in quel tratto di intestino, e per questo quella considerata “vera” è solo dell’animale piccolo che si è nutrito solo di latte materno, così non ci saranno contaminazioni. Dopo aver lavato il grasso che riveste il pacchetto intestinale e aver selezionato e spellato la parte del tenue, c’è un controllo attento. Se il colore risulta biancastro, allora va bene: qualora fosse verde o aranciato, bisogna eliminare quella parte. A Roma si mangia rigorosamente con i rigatoni e un sugo di pomodoro, ma può essere anche mangiata al forno.

Pajata

‘O PERE E ‘O MUSSO (CAMPANIA)

La frase “del maiale non si butta mai nulla” si sposa alla perfezione con questo antico street food campano, diffuso nelle province di Napoli e di Salerno, fatto dal piede e dal muso venduti dal “carnacottaro”, il venditore tradizionale di frattaglie – che a loro volta in dialetto sono chiamate “zendraglie” (dal francese “les entrailles”, le interiora).

Le cose sono leggermente cambiate oggi: è un alimento che si può trovare in macellerie o venditori ambulanti che viaggiano per ape-car. Si possono trovare il piede di maiale ma anche quello di vitello, il muso del vitello, la lingua di maiale, “o’mbruglitiello” (l’intestino del vitello), “‘a zizza” (la mammella della mucca), il “centopelle” (uno degli stomaci del vitello) ed altro ancora.

ZUPPA FORTE (CAMPANIA)

Conosciuta anche come “zuppa di soffritto”, il suo ingrediente principale sono le interiora del maiale: polmone, reni, cuore, milza, scarti carnei, cotenne, ecc… Le interiora vanno rigorosamente lasciate in ammollo in acqua per essere private del sangue e poi asciugate prima di essere soffritte in olio bollente e sugna (strutto), fino a quando non si coloriscono; successivamente si versa del vino rosso, una cucchiaiata di concentrato di pomodoro diluito in acqua bollente, alcune foglie di alloro, rosmarino e peperoncino. La cottura deve poi essere lenta, a fiamma bassa, per almeno due ore.

TURCINIEDDI (PUGLIA)

Diciamo che questo piatto si è diffuso a macchia d’olio in molte altre parti vicine (nel Molise, in Abruzzo, in Ciociaria, in Calabria, in Basilicata e non solo), ma credo che se parliamo di “Turcinieddi” (o “Gnummareddi”), la Puglia è la prima zona che viene in mente.

Sono involtini a forma cilindrica a base di interiora di agnello o capretto in budello, impreziositi ulteriormente con foglie di prezzemolo. Si possono utilizzare animelle, polmone, rognone o pezzi di fegato, il tutto arrotolato nel budello d’agnello e arrostito sulla brace.

Per i curiosi, in realtà questo piatto ha diversi nomi a seconda delle zone della Puglia e non solo: a Lecce sono chiamati “turcinieddhri”, a Brindisi “turcinieddi”, a Gallipoli “‘mboti”, ad Ostuni sono i “marretti”, mentre a Foggia e dintorni sono conosciuti come “turcinelli”.

Turcinieddi

MORZEDDHU ALLA CATANZARESE (CATANZARO)

Questo è un piatto a base di carne di vitello, tipico della cucina calabrese ma che per essere gustato nella sua massima essenza va mangiato a Catanzaro. Nasce come stratagemma per riciclare tutti gli scarti quali cuore, trippa, trachea, polmoni, fegato ed altri della macellazione del vitello. È facile trovarlo come “farcitura” della pitta calabrese.

Morzeddhu

PANI C’A MEUSA (PALERMO)

Vieni a Palermo e quali sono le cose più tipiche che si possono mangiare? Uff… troppe ce ne sono da menzionare. Pane, panelle e crocchè, le arancine, la Cassata, e così via, ma forse è il panino con la milza l’alimento più rappresentativo della città.

È un panino al sesamo (chiamato anche “cimmino”) farcito specialmente con la milza ma anche polmone e/o trachea di vitello, bolliti o cotti al vapore e successivamente soffritti nello strutto. Parliamo di una ricetta molto antica risalente al Medioevo, frutto degli ebrei che lavoravano al tempo alla macellazione. Dato che per motivi religiosi non potevano guadagnare macellando gli animali, invece che i soldi ricevevano come conguaglio le interiora.

Pani ca’ meusa

Questi sono solo alcuni dei più famosi, ma ovviamente si potrebbero menzionare le varie tipologie di trippa (alla romana, alla fiorentina, alla veneta, alla genovese, alla piemontese), la “busecca” (il modo con cui viene chiamata la trippa alla milanese), la coratella (quella alla romana coi carciofi è forse la più famosa, ma è un piatto diffuso in tutto il centro Italia).

C’è poi il risotto coi fegatini, il rognone trifolato, le stigghiole, i fegatini di pollo panati, il fritto misto alla piemontese, la cima alla genovese, i piatti a base di animelle, cervella: insomma, ce n’è per tutti i gusti!

Trippa alla Romana @ SantoPalato

Ma non finisce qui: anche nel resto del mondo ci sono varie ricette a base di quinto quarto. Raggrupparle tutte è quasi impossibile, ma qui sotto troverete un archivio di varie ricette provenienti dall’Europa, dall’Asia, dagli Stati Uniti, un paio di ricette africane e una ricetta centro-americana.

EUROPA

Haggis. Questo forse è il piatto più conosciuto tra quelli presenti nella lista internazionale, ed è appartenente alla cultura scozzese, anzi; forse è il loro piatto nazionale. Si tratta di un insaccato realizzato con le interiora della pecora (in particolare cuore, fegato, polmoni), macinate e aromatizzate con cipolla, varie spezie e farina d’avena. Il composto di carne speziato è inserito nello stomaco della pecora e poi viene fatto bollire e ha anche spesso e volentieri un contorno di rape bollite e patate: sta a voi decidere se metterci vicino una Scotch Ale o un Scotch Whisky.

Haggis

Kuzu Kelle: in realtà con questo nome ci si riferisce a due preparazioni diverse tipiche della Turchia. Nell’ottica dello street food, la testa d’agnello (la traduzione del nome) si serve bollita, spolpata, servita fredda o accompagnata da verdure o all’interno di una pita. In questo primo caso sarebbe chiamata “kelle söğüs”).

Nella seconda variante, più da tavolate per il pranzo della domenica, viene arrostita, e qui si chiama “tandur kelle”).

Beuschel: questa sorta di ragù austriaco è diffuso in particolare a Vienna ma è possibile trovarlo un po’ in tutta l’Austria. Si prepara con i polmoni e il cuore del vitello, ma si possono usare pure altre parti. Per ottenere la sua tipica cremosità si aggiungo panna acida e una salsa al burro, accompagnato da una specie di canederlo.

Riñones al Jerez: questa tapas tipica dell’Andalusia è a base di reni dell’agnello, saltati in padella e sfumati con lo Sherry (tipico vino liquoroso della regione).

Ciorba de burta: zuppa di trippe, soprattutto di maiale, pecora e vitello cotta per ore con verdure e spezie e un po’ di aceto. Si tratta di un piatto tipico della Bulgaria, ma è possibile trovarlo anche in Moldavia e Romania.

Ciorba de potroace: altra “ciorba”, quindi altra zuppa dell’est Europa, ma in questo caso soprattutto della Romania. Parliamo di un mix di rigaglie di pollo con molte verdure (cavolo, peperone, pomodori) in un brodo insaporito con molte spezie e arricchito con grasso di maiale, tuorli d’uovo e panna acida.

Andouillette: nel comune di Troyes, a metà strada tra Parigi e Digione, troviamo questo budello di maiale farcito con interiora miste di suino e trippe di bovino, a cui si aggiungono molte spezie e poi cotto sulla griglia.

Figatellu: il nome potrebbe far pensare ad un piatto italiano, ma siamo vicini. Ci troviamo in Corsica, dove il fegato di suino è lavorato con molto aglio per dar vita a un salume diffuso e amato. Può essere gustato crudo come antipasto, può essere adoperato per insaporire sughi e può essere grigliato. Se non vi piace l’aglio, non avvicinatevi!

Pieds Paquets: la Provenza non è solo vino rosè, sale di Camargue e fiori di lavanda. Qui è possibile anche gustare un piatto a base di zampa e fagottini di trippa di agnello farciti con aglio, cipolla, pancetta e prezzemolo, sfumati con vino bianco e lasciati cuocere lentamente in acqua o passata di pomodoro per molto tempo (almeno 6-7 ore), con contorno di patate bollite.

Kokoretsi: a Pasqua in Grecia si è soliti mangiare questo piatto, composto da frattaglie di agnello o capra come reni, cuore, polmoni e animelle che vengono conditi con sale, pepe, olio EVO, succo di limone ed erbe aromatiche. Si infilano, alternati su uno spiedino e si avvolgono con l’intestino dell’animale, precedentemente lavato con l’aceto. Si procede alla cottura sulla brace e si cosparge il tutto con origano. Il piatto è diffuso in tutta l’area dei Balcani e si può trovare anche in altri periodi dell’anno.

Christmas Pudding: un “budino” inglese fatto con farina, uova, mandorle, frutta candita, rum, melassa. Perché appartiene ai piatti a base di frattaglie? Perché viene utilizzato anche grasso di rognone.

Callos: trippa e muso di bovino cotti in terracotta, insaporiti con chorizo, sanguinacci, lardo, aglio, alloro, cipolle e prezzemolo, cotti per un lungo periodo di tempo. Questo è uno dei piatti più autentici della cultura di Madrid.

Rassolnik: in Russia è possibile trovare questa zuppa che prevede carne mista di maiale e manzo, reni e, eventualmente, rigaglie di pollo, i quali vanno aggiunti a dell’orzo perlato.

ASIA

Nankotsu no karage: cartilagini di pollo marinate e fritte, ditemi voi se non è un qualcosa di veramente particolare! Ci troviamo in Giappone.

Gopchang: in Corea del Sud l’intestino tenue del manzo (o del maiale) è la base di questo piatto, che si traduce con frattaglie”. La carne è cotta alla brace insieme a peperoni e cipolle e servita con ciotoline ripiene di condimenti, come peperoncini fermentati o salsa di soia, insieme al Soju, la “grappa” coreana.

Motsunabe: specialità della prefettura di Fukuoka, in Giappone. Parliamo di una variante giapponese dell’hot-pot, in cui il ruolo del protagonista è assegnato alle frattaglie di manzo, maiale o pollo tagliati a striscioline e a bocconcini in modo che si cuociano subito, accompagnate da porro e cavolo. Il brodo invece è aromatizzato con salsa di soia o miso, aglio e peperoncino.

Sate padang: a Sumatra, in Indonesia, è possibile trovare questi spiedini di frattaglie di capra, la cui cottura avviene in due fasi: prima in un brodo di carne, poi sulla griglia con una salsa realizzata tramite zucchero, curry, farina di riso, curcuma, zenzero, coriandolo e lo stesso brodo usato prima.

Caotou quanzi: ci troviamo a Shanghai ed è un brasato di intestino di maiale con salsa di soia, zucchero, cipollotto e zenzero. Quanzi è il nome con cui gli abitanti chiamavano le monete negli anni ’30, periodo in cui questa ricetta passò alla ribalta e visto che i budelli del maiale avevano un diametro simile e una forma tondeggiante, il piatto ne prese il nome. L’altra parte del nome (caotou) deriva invece dalla varietà di trifoglio con cui vengono accompagnati questi bocconcini di carne.

Seolleongtang: altro piatto della Corea del Sud, una nazione che ama particolarmente le frattaglie. In questo piatto vengono fatte bollire le ossa bovine e, in alcuni casi, altri tagli come la punta di petto, gli zoccoli e la testa. Dopo varie ore di cottura, il brodo si filtra e si elimina il grasso in superficie prima di portarlo in tavola. Solitamente si gusta con il riso o i noodles e, a parte, i commensali aggiungono sale, pepe e cipollotto tritato a piacere.

Chakna: stufato a base di lingua, reni, fegato, intestino e altre interiora della capra. Parliamo di un piatto che può essere trovato sia in Pakistan che nel nord dell’India. La carne viene cotta lentamente con cipolle, curcuma, peperoncino, cumino, cardamomo, cannella e coriandolo, per poi essere accompagnato dal naan.

Bopis: ci troviamo nelle Filippine ed è un piatto dove si cuociono cuore e i polmoni del maiale, marinati nell’aceto o bolliti con il lemongrass e poi macinati. Il composto si lascia stufare con aglio, cipolla, verdure e peperoncino. Può essere accompagnato da riso al vapore.

Fuqi Feipian: in una delle province più particolari della Cina, quella del Sichuan, si prepara questo piatto di straccetti di manzo ricavati dalle parti nobili dell’animale e dalle frattaglie come lingua, cuore, trippa, pelle cervicale. Una volta cotti sono cosparsi di una salsa pungente fatta col pepe di Sichuan.

Rebasashi: si tratta di sashimi preparato con fegato di manzo crudo. Il sapore intenso e la consistenza viscosa lo resero un piatto abbastanza conosciuto in Giappone, soprattutto nella prefettura di Kyushu, ma dal 2012 il piatto è stato proibito a causa dei possibili rischi per la salute. C’è però chi lo fa, soprattutto in Corea del Sud e a Hong Kong.

Gyutan: nato a Sendai, nella prefettura di Miyagi, nel nord-est del Giappone, nel 1948 convertì. È la lingua di manzo tagliata a striscioline sottili, come un sashimi, e poi cotta alla brace. Si può accompagnare ad una zuppa a base di coda di bue, riso e orzo cotti al vapore o in alternativa verdure sottaceto.

AMERICHE

Rocky Mountain Oysters: a me il nome ha sempre fatto sorridere. Letteralmente si traduce con “le ostriche delle Montagne Rocciose” e per gustarle dovete andare nella parte occidentale degli Stati Uniti – tipo in Montana – o in Canada, dove vengono rispettivamente accompagnate da salsa cocktail o salsa demi-glace. Di cosa si tratta alla fine? Di testicoli di toro che vengono infarinati, cosparsi di sale e pepe ed infine fritti.

“Rocky Mountains Oysters”

Lamb fries: in pratica parliamo di un alter ego delle “Rocky Mountain Oysters”, solo che in questo caso ad essere fritti sono i testicoli di agnello, i quali nello stato del Kentucky sono accompagnati dalla gravy cream.

Hog Maw: per chi non lo sapesse, nello stato americano della Pennsylvania c’è una grande comunità di origine olandese e germanica. A Capodanno queste famiglie sono solite cucinare lo stomaco di maiale, a cui è stato attribuito l’aura di buon augurio per il nuovo anno, farcito con patate, salsiccia, cipolle, carote, foglie di cavolo e varie spezie. A seconda della scelta, può essere bollito o cotto al forno.

Sopa de pata: in El Salvador è diffusa questa zuppa che contiene principalmente trippa lo zoccolo della mucca, cotti per molto tempo – in stile ragù o Genovese – con fagioli, platano, granturco, yucca e chayote.

AFRICA

Smiley: il nome è tutto un programma… Si tratta di una testa di pecora grigliata, le cui labbra si curvano in una specie di sorriso – da qui il nome! È un piatto della cultura sudafricana, precisamente degli Xhosa.

Kebda Iskandarani: in Egitto è possibile trovare questo panino farcito di fegato bovino fritto, aromatizzato con peperoncino, aglio, cardamomo e cumino, accompagnato da cipolla e peperoni (fritti o saltati in padella), oltre ad una dose di salsa tahina. È possibile trovarlo in buona parte della nazione, ma è ad Alessandria che lo troverete nella sua versione originale.