The Taste Seeker – Racconto di una cena da “Cracco” | Menù e prezzi
SPOILER ALERT: questo articolo può lasciare nella mente di chi lo legge due alternative, ovvero sgomento o scandalo.
Premesso che non guadagno nulla nello scrivere qualcosa che non lodi lo chef Cracco – visto che è un mio idolo, senza contare che la mia opinione in questo contesto conta come un granello di sabbia nella spiaggia di Copacabana, io sono un blogger (non un critico) il cui scopo è raccontare ciò che vive e degusta, tentando sempre e comunque di scrivere con la massima oggettività.
Va anche detto che “The Taste Seeker” è talmente piccolo e che la sua portata sia talmente effimera che neanche in un metaverso parallelo queste parole arriveranno alle orecchie e agli occhi dello chef, ma dopo molti giorni di ragionamento sono arrivato alla ricetta su come scrivere l’articolo: COME SI MANGIA DA CRACCO A MILANO (AGGIORNATO NOVEMBRE 2021).
Disclaimer: tutte le foto appartengono a Giovanni Russo, pertanto è vietata la riproduzione non autorizzata.
INIZIO
Ritengo doveroso partire dal “why”. Perché uno che vive nella zona dei Castelli Romani è finito da “Cracco”? Molto “semplice”. A fine 2020 venne annunciato che le Nitto ATP Finals sarebbero state organizzate a partire dall’anno prossimo a Torino. Io immediatamente proposi l’idea ad uno dei miei più cari amici e quindi a maggio 2021 ci organizzammo per andare. Con la scusa di salire a Torino – inutilmente, dato che rimanemmo fregati dalle disposizioni del Comitato Tecnico Scientifico e dalla errata organizzazione di ATP/FIT – proposi ai miei amici di andare nelle Langhe per una visita in cantina e da Villa Crespi per un pranzo straordinario.
Prenotammo da Cannavacciuolo con successo, con il sito che indicava tutto il periodo in questione libero, ma dopo neanche 2 minuti dalla prenotazione, lo staff ci contattò per disdire la nostra prenotazione. Motivo? Il sito non era correttamente aggiornato…
Chef, se per qualche miracolo dovesse leggere, per favore; mai più, perché rimanere fuori per un sito non aggiornato fa male…
Ma tornando a noi, mi sono detto. Dove altro potremmo andare per colmare la delusione? A mio parere, a quelle latitudini, ci sono almeno 10 nomi che avrebbero rispettato le aspettative, ma un nome in particolare arrivò alla mia mente: Carlo Cracco, innovatore culinario che il mondo ci invidia, conosciuto in ogni dove, il quale davvero non necessita di introduzioni. La proposta fu subito accolta con entusiasmo. Prenotammo e alla fine, nella seconda parte di novembre, arrivammo per la fatidica esperienza.
Veniamo accolti da un giovane ragazzo che ci accompagnò in ascensore, portandoci al piano superiore del ristorante situato in Galleria Vittorio Emanuele II – affitto mensile da circa €90.000 per 5 piani di locale se le informazioni in mio possesso sono corrette e aggiornate – e dove nella sala d’attesa (di un ristorante) più elegante in cui sia mai entrato, ebbe ufficialmente inizio il tutto.
Il principio è stellare: sala privata per noi 3, affacciati verso il centro della Galleria: un sogno! Siamo colmi di adrenalina perché le premesse sono altissime! Dopo la solita “cerimonia” (accomodati al tavolo, scelta dell’acqua, “gradite un aperitivo?”, etc…) iniziamo.
Aperitivo di livello con un “Riserva del Fondatore” 2009 di Giulio Ferrari: poesia pura, integrato da chips di zafferano, barbabietola e prezzemolo. Parafrasando uno dei miei amici, sottolineo nuovamente come il cameriere sia stato corretto nello scandire le parole “Gradite un aperitivo?”. Può sembrare un qualcosa superficiale, ma in alcuni ristoranti (stellati e non) la domanda viene posta come “Possiamo offrirvi un aperitivo?”. Nella lingua nostrana, “offrire” significa fornire senza costo, ma ovviamente è una voce che poi si ritrova nello scontrino finale. Tutti e tre abbiamo apprezzato questo dettaglio, dato che per l’appunto non è prassi per tutti.
Optiamo per il menu degustazione da 14 portate a €195, evitando tuttavia l’abbinamento al calice, dato che spesso è capitato che il gioco non valesse la candela.
Pertanto scegliamo una singola bottiglia, ma di livello: Riesling Kabinett Halbtrocken di Schloss Johannisberg dalla regione teutonica Rheingau, annata 1990 : S P A Z I A L E!
INIZIO DEL MENÙ
Arriva quasi subito il primo step del percorso: un’insalata russa caramellata, racchiusa in un croccante ma delicatissimo involucro, straordinariamente ma non eccessivamente dolce, che ci ha fatto volare. Quasi da far piangere di gioia – metaforicamente parlando – dato che un semplice entreé era riuscito ad emozionarci cosi tanto. Cosa poteva essere il resto? Eravamo certi che ci accingevamo a vivere la più bella cena della nostra vita: la verità è che con la prima portata tra le 12 in programma, avevamo già raggiunto il picco della cena…
La seconda portata non si avvicinava lontanamente all’insalata russa caramellata per gusto, ma era comunque un bocconcino delizioso ed intrinseco di vari gusti che si incastravano correttamente nonostante la particolarità e la diversità di tutti. Stiamo appena agli inizi, quindi il meglio doveva ancora arrivare secondo noi.
Queste due prime portate ci fanno intuire fin da subito che il menù (che non abbiamo “analizzato” più di tanto per permetterci di essere sorpresi al massimo dalla sequenza dei piatti) si baserà su un percorso leggero, delicato e dai gusti complessi ma equilibrati. Anche la terza portata porta il fil rouge identificato con i primi piatti arrivati: piatto delicato, leggiadro ma ricco di ingredienti che hanno conferito al piatto una complessità comunque intrigante. Per ora sta andando tutto bene, però ci manca ancora qualcosa. Ci manca quel quid che ci permette di dire “wow“, ovvero ciò che abbiamo provato con l’insalata russa caramellata.
Quarta portata e anche questa volta la nomea dello chef si è fatta valere. Il gambero era racchiuso in una sorta di involucro in stile pop-corn. Onestamente non sono capace di descrivere perfettamente il modo in cui si ottiene questa preparazione. La crema di funghi porcini, sebbene non sia stata specificata nella descrizione del piatto, ci ha indistintamente fatto percepire al gusto un forte sentore quasi affumicato. Il gel di lime invece, sebbene lo abbia trovato intenso, è stato molto utile per ripulire il palato.
La prossima è, di gran lunga, la portata che ho preferito di meno. Non è un grave problema in generale. Quando si sceglie un menù degustazione, è necessario ricordarsi che alcuni gusti potrebbero non essere sempre perfettamente in linea con quelli a cui siamo abituati. In più, come da prassi, ci è stato chiesto se ci fossero allergie o richieste particolari e noi abbiamo dato l’ok a portare qualunque cosa. In questi casi dovrei specificare che io proprio non reggo i cetrioli e, sebbene non incluso nella descrizione, la portata in questione aveva un’importante dose di cetriolo. Ci sta, poco male. In realtà ci sono stati due problemi con questo piatto. Uno, non è stato specificato che fosse un palate cleanser, un qualcosa che avesse come scopo quello di ripulire il palato. Può sembrare una considerazione da snob ma, pagando profumatamente un premium per il cibo, la location ed il servizio, è doveroso aspettarsi degli standard altissimi in tutti gli ambiti. Il secondo problema è che, non solo fosse la portata meno strutturata tra le 12 nonostante si trovasse quasi a metà percorso, ma a questo punto della serata non c’è stata ancora la benché minima traccia del cestino del pane. Chi fa ristorazione di un certo livello apporta sempre la sua firma anche nel cestino del pane, portando pagnotte fatte con lievito madre e ben calde, magari accompagnate da un burro aromatizzato, grissini classici e/o speziati, pani integrali e magari altre tipologie, come focacce ed altri ancora. Solo dopo averlo esplicitamente richiesto, è arrivato uno dei cestini più tristi che abbia mai visto. Qualche fettina di pane bianco – con la crosta bruciacchiata – qualche fettina di pane integrale (senza infamia e senza lode) e dei grissini – quelli invece erano molto gustosi.
Arriviamo al giro di boa. Nonostante il gusto fosse particolarmente apprezzato, diciamo che si tratta di un piatto che chiunque con una certa manualità in cucina – non mi annovero in questa categoria, personalmente parlando – potrebbe replicare. Per carità: sapori apprezzati ma restiamo ancora a bocca asciutta per quanto riguarda lo stupore. D’altronde, siamo nel ristorante iper-lussuoso di uno degli chef più famosi al mondo. Le aspettative sono più che alte e finora, ahimé, non sono state particolarmente rispettate. Attenzione, altra considerazione che può essere letta come un’eccessiva dose di sfrontatezza e snobismo da parte nostra, ma dato il costo che stiamo (volontariamente) affrontando, questi dettagli vorremmo che fossero impeccabili: l’acqua viene lasciata in una glacette lontana dal tavolo. Vero che in questo modo resta ad una giusta temperatura e non occupa spazio al tavolo, però se abbiamo sete dobbiamo aspettare che i camerieri si affaccino nella nostra saletta infrattata. Avrei preferito maggiormente se: la glacette fosse stata posizionata accanto al nostro tavolo oppure se fosse stata direttamente messa sul nostro tavolo. Piccoli dettagli che non rappresentano certamente l’ago della bilancia di esperienze del genere, ma se dobbiamo alzare l’asticella, tanto vale che venga fatto in ogni caso.
E ora passiamo ad una rivisitazione della pasta più amata dai liguri: pesto, patate e fagiolini. In questo caso, lo chef ha deciso di rendere la patata un involtino che racchiudesse la preparazione, impreziosita da del miso essiccato.
Stiamo per passare all’ottava portata e, considerando che solitamente due portate sono il pre-dessert ed il dolce, cominciamo a temere che non ci sarà traccia di proteine – ad eccezione di fatto del gambero e del carpaccio di dentice assaggiati finora. Io personalmente poi sto aspettando che arrivi la mia parte preferita: quella composta da pasta o risotto. D’altronde, chef Cracco è uno che con il risotto ci ha fatto una carriera, mentre a livello proteico, chiunque abbia visto almeno una volta Masterchef Italia sa che il suo piccione è qualcosa che rasenta il mondo metafisico. E, in parte, vengo accontentato: tempo di carboidrati.
Sì, lo ammetto: questo piatto mi ha lasciato l’amaro in bocca. Cottura impeccabile (sebbene io personalmente la preferisca un filo meno al dente, ma questi sono gusti puramente personali), ma il condimento è stato alquanto deludente. Sedano croccante e crema [fredda] di pomodoro non sono esattamente quel che mi aspetto quando penso alla cucina di uno chef decorato come Cracco: il solo zenzero non può salvare questo piatto. Francamente, tra i piatti in carta, c’era un ben più intrigante risotto alla milanese (ed era il più classico tra le scelte) che avrebbe senz’altro soddisfatto maggiormente.
Non siamo ancora al triplice fischio, ma cominciamo a temere che, senza che ci venisse specificato all’inizio, l’unico menù degustazione offerto – non considero quello al tartufo proposto durante il periodo perché parliamo di un elemento altamente stagionale ed incredibilmente inflazionato quest’anno – sia in realtà de facto vegetariano. C’è qualcosa di male? Certo che no, ma sarebbe più gradita la possibilità di scegliere. Dalla carta è stato usato praticamente solo il gambero di Santa Margherita Ligure, mentre le altre portate, per quanto più complesse ed appetitose, sono rimaste al di fuori della nostra portata. Vero anche che è noto come la scorsa estate lo chef abbia aperto un ristorante a Portofino che non prevede nessun piatto a base di carne – e che lo chef stesso stia rinunciando sempre di più alla carne stessa – però mai mi sarei aspettato che il menù sarebbe stato prettamente improntato su una linea green.
Consapevoli che ci stiamo lamentando di un qualcosa che fa ridere se paragonato ai veri problemi, chiedo ai lettori di immedesimarsi nei nostri panni per un attimo. Eravamo veramente eccitati dall’idea di vivere una cena stellare in uno dei ristoranti più ricercati al mondo, ma a parte qualche sporadico picco, finora l’esperienza non era paragonabile alla nomea dello chef. E qui, forse, abbiamo commesso un errore, o quantomeno una scelta che ha fatto levitare il costo finale. Abbiamo scelto un altro vino alla mescita – questa volta dalla Borgogna – che magari non era vitale per la cena ma, in una fase di sconforto, abbiamo voluto cercare nel nettare di Bacco un momentaneo sollievo. E così, via con un Bourgogne Chardonnay “Éclat de Calcaire” 2019 di Pierre Girardin: anche qui, vino eccelso.
Capitolo “main dish”. Qui siamo rimasti alquanto basiti. Si tratta di una Zuppa Pavese, una zuppa composta tradizionalmente da pane, brodo di gallina, uovo e Parmigiano Reggiano, un piatto nato in concomitanza della Battaglia di Pavia il 24 febbraio 1525 tra l’esercito francese guidato dal re Francesco I e l’armata imperiale di Carlo V guidata da Fernando Francesco Davalos e Carlo di Borbone. Chef Cracco ha voluto invece aggiungere del midollo, sostituire il brodo di gallina con uno di manzo concentrato e usare il taleggio. Tralasciando il fatto che mi ha infastidito parecchio il fatto che il tuorlo sia stato fatto cadere fuori dal crostone e che il brodo sia stato versato come se fosse una brocca d’acqua il 15 d’agosto – vi assicuro che sono la persona meno pretenziosa del pianeta, ma è giusto pretendere la qualità quando la si acquista – il taleggio copriva tutto. Sottolineo tutto. E non voglio credere che uno chef che, rispetto a me, ha un palato superiore di almeno 10.000 punti, non se ne sia accorto.
Con la portata successiva andiamo su un piatto alquanto peculiare, impiattato splendidamente, ma che obiettivamente non è bastato a risollevare il nostro morale, anche perché abbiamo avuto la conferma di quanto sospettavamo – ma che io invece speravo avvenisse: lo chef era assente. Buio pesto 🙁 Dico solo una cosa: mi ero addirittura portato un suo libro di ricette per farmelo autografare. Ah, l’ingenuità…
Ed eccoci alla parte finale del menù. Adesso entriamo nella prima “curva” del trittico pre-dessert, dolce e piccola pasticceria. Il primo è costituito da polpa di pomodoro, erbe balsamiche e ciliegie in conserva. Sicuramente un gusto atipico per un pre-dessert e non so se è dovuto all’umore o al mio palato, ma non è un piatto che mi ha fatto saltare dalla sedia – per quanto sia stato gustativamente intrigante da assaporare.
Con il dolce c’è stata una gradita esplosione di sapori ma un grande difetto: la temperatura. Onestamente parlando, non mi va di andare a dire ai professionisti di un settore non mio come comportarsi, ma non credo sarebbe stata la fine del mondo se fosse arrivato meno ghiacciato dato che la nostra lingua era praticamente anestetizzata dalla bassissima temperatura del piatto – amaretto, pesche, cacao e alchermes.
Dulcis in fundo, la piccola pasticceria.
GIUDIZIO PERSONALE COMPLESSIVO
Credo sia superfluo rimarcare come, in generale, siamo rimasti delusi. Vero, la location è STREPITOSA ed abbiamo avuto una sala privata. Tuttavia, c’è stata un’immensa asimmetria tra le nostre aspettative e la realtà dei fatti. Lato servizio, siamo stati serviti da tre persone diverse: un maitre/sommelier, una cameriera/sommelier ed un cameriere. Sui primi due sono rimasto particolarmente soddisfatto – ad eccezione del mancato pane ad inizio servizio e dell’acqua tenuta in disparte – mentre dal terzo avrei preferito una maggiore cura in alcune parti del servizio, come la “consegna” della zuppa pavese ed il versamento del brodo, il racconto dei piatti, le specifiche della portata che avrebbe dovuto pulirci il piatto ed altre piccole cose che, sommate, portano alla nostra considerazione finale.
Lato piatti, sebbene alla fine molti fossero complessi e gustativamente interessantissimi, mi è mancato quel livello atomico che ci aspettavamo da uno dei cuochi appartenenti al gotha della cucina mondiale. Solo con la sua insalata russa caramellata abbiamo provato quello stupore e quelle emozioni, mentre esclusivamente altri due piatti ci hanno incredibilmente sorpreso: tutto il resto, buono ma niente di eccezionale, mentre boccio a mani basse (ma rimarcando che si tratta di gusti personali) la portata “Think Green”. Lodevole invece la carta dei vini. Ci vorrebbe una settimana per leggerla ma conteneva etichette sorprendenti.
PREZZI DELLA CARTA
Gambero viola di Santa Margherita ligure croccante e funghi – €60
L’uovo in nero – €70
Petto di piccione alla brace, rucola, fichi del nostro orto e nocciole – €45
Riso mantecato allo zafferano e midollo alla piastra – €45
Riso mantecato al mascarpone, pomodoro datterino, mozzarella di bufala e cumino – €48
Raviolo aperto, ricotta di Seirass e funghi porcini, tuorlo d’uovo di montagna e nepetella – €46
Spaghettone al pesto balsamico di capperi, peperone crusco e sarde – €48
Trancio di dentice fondente con salsa di zafferano, finocchietto – €48
Astice al barbecue, zucchine trombetta, susine e fiori in carpione – €60
Vitello alla milanese, pomodoro, rucola e ciliegie – €48
Animella di vitello arrosto, salsa italiana alla paprika, involtino di melanzane con scamorza e maggiorana – €48
Musetto di maiale al “rosso” – €46
Selezione di formaggi italiani – €36
Dessert al cioccolato, caramello soffiato croccante, rose e lamponi – €38
Fichi, mandorla e caffè – €40
Crocchette di cioccolato gianduja, chinotti canditi al maraschino e caviale siberiano – €50
Amaretto, pesche, cacao e alchermes – €40
PREZZI DEL MENÙ DEGUSTAZIONE
Insalata russa caramellata
Bombolone alle alghe e ricci di mare
Sea salad world tour
Gambero viola di Santa Margherita ligure croccante e funghi
Think green: kiwi, avocado, coriandolo e bottarga
Carpaccio di melanzana alla norma
Pesto, patate e fagiolini
Spaghettone tiepido, ristretto di pesce alla brace, sedano e pomodoro allo zenzero
1525-2021 la zuppa pavese
Crema di mandorle al sentore di affumicato, prezzemolo bollito e midollo di vitello fondente
Polpa di pomodoro, erbe balsamiche e ciliegie in conserva
Amaretto, pesche, cacao e alchermes
€195
MENÙ SPECIALE AL TARTUFO BIANCO
CARTA DEI VINI E ABBINAMENTI AL CALICE
CONTO
IL MIO VOTO FINALE
LOCATION: 8
VINI: 8
PIATTI: 5
SERVIZIO 6-
RAPPORTO QUALITÀ-PREZZO: 5-
MEDIA: 6,5 (circa)
Messi così questi voti potrebbero risultare approssimativi e superficiali ma dovrebbero rappresentare un adeguato specchio della nostra serata. Tornerei a mangiare un menù di Carlo Cracco? Sì, ma solo se venissi invitato. Per la cifra spesa si potrebbe fare un breve weekend low-budget da qualche parte nel centro-sud Italia (dubito che queste cifre reggano a Milano o dintorni, per dirne una…). Il voto calerebbe drasticamente dalla grande delusione che lo chef non ci fosse – il cameriere ha detto che “proprio quella sera era assente”, ma più di un indizio ci hanno portato all’ipotesi che spesso e volentieri sia difficile trovarlo nel suo ristorante. Tra l’altro era un sabato sera e la domenica il ristorante è chiuso, quindi sarebbe stato il servizio conclusivo della settimana.
Attenzione, perché nessuno ci ha obbligato a scegliere questo ristorante, questo menù, questi vini, l’aperitivo e tutto il resto: si è trattata di una NOSTRA (e voluta) scelta e, per quel che mi riguarda, era da maggio che mi mettevo da parte un po’ di soldi da parte ogni mese per racimolare la cifra necessaria per la cena. E a me va benissimo pagare un prezzo importante se la qualità in ritorno soddisfa le aspettative – personali ed oggettive – ma non c’è nulla di più deludente di pagare una cifra così importante ed uscire dal ristorante con l’amaro in bocca.
Che lo chef sia uno dei più grandi cuochi del mondo non è in dubbio. Che il suo ristorante sia un locale straordinario neanche. Che la qualità dei piatti sia alta è oggettivamente ineccepibile. Quel che spero di aver fatto passare nella mia rustica narrazione è che c’è stato un incredibile dislivello tra ciò che ci aspettavamo e ciò che è stata la realtà, tenendo tuttavia in considerazione che, con tutto il rispetto per chi fa questo lavoro da decenni e ai massimi livelli, abbiamo trovato una certa fragilità nel menù degustazione rispetto ai piatti della carta, dando quasi l’impressione che si stesse tentando di camminare sul filo del rasoio.
Caro Chef, se in un universo parallelo dovesse leggere questo articolo, sappia che non ho scritto tutto questo per fare un attacco. La mia stima nei Suoi confronti non cambia di certo. Ma io mi baso su quel che io e due dei miei più cari amici in assoluto abbiamo provato e tutti e tre siamo entrati colmi di speranze ma siamo usciti carichi di delusione. Spero in futuro di vivere un’esperienza che mi faccia rimangiare tutte queste parole: sono il primo che lo spera.
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